
Le tracce scelte per Dylan Different risalgono alle più importanti canzoni del periodo 1963-1989, intervallo di tempo durante il quale il mito di Like a Rolling Stone andava dilagando a dismisura, influenzando non solo la produzione di testi, le formazioni musicali e la musica dei gruppi rock, ma anche i lavori artistici di più ampio raggio, arrivando perfino a coinvolgere la pubblicità. A quei tempi, John Berg, art director della Columbia Records, chiamò Milton Glaser per l’assegnazione della messa in opera di quel poster che divenne successivamente il simbolo per eccellenza di Dylan e della sua generazione. A distanza di 40 anni «non sono mai riuscito a capire perché certe immagini continuano a rimanere nella nostra cultura, mentre altre scompaiono senza lasciare traccia» si chiede sorpreso Glaser. E sempre 40 anni dopo, Sidran afferma che Dylan « oggi è come un virus, che staziona in ogni più piccolo angolo della musica pop» tanto che, pur avendoci messo tutti questi anni per riuscire ad pagare musicalmente il suo debito a Dylan, è qualcosa che avrebbe voluto fare già da molto tempo.
Dylan Different è stato registrato in una fattoria dell’Alsazia con il contributo di amici come Radolphe Burger, Jorge Drexler e Georgie Fame. Un tocco di stelle in più lo aggiungono il sax di Bob Malach, già bagnato dalla fortunata collaborazione con Stevie Wonder e la tromba di Michael Leonhart. La percezione del disco è molto particolare: da un lato si avverte il lavoro meticoloso per accordare sullo stesso sentimento dylaniano le personali esperienze ricollegabili all’ascolto dei brani storici, perchè il tutto fluisca in maniera riconoscibile; dall’altro, si riconosce un tocco soggettivo e una volontà di sperimentare una strada alternativa rispetto all’interpretazione originaria dei pezzi scelti. Insomma, qualcosa di innovativo si intravede, ma è una sensazione poco netta e la bellezza della musica, che sicuramente ne risulta a prescindere dal tentativo di essere una differenza da Dylan, fa nascere il dubbio su quanto la paternità rivoluzionaria di questo rock possa essere rivisitata.
Ben Sidran ha un curriculum intoccabile: pianista, organista e cantante jazz di fama mondiale, collaboratore di artisti rock, jazz e blues del calibro di Eric Clapton, Rolling Stones, Steve Miller Band, Van Morrison, Rickie Lee Jones, Marcus Miller, Peter Erskine, Phil Woods e Georgie Fame, è stato poi premiato broadcaster americano per la serie “Jazz Alive”. Non solo produttore, studioso, scrittore e giornalista, Sidran è anche uno dei più grandi esponenti del jazz moderno, del rock e del pop. Con una tale esperienza certamente il coraggio e la competenza per lanciarsi in un’impresa come questa non poteva mancare. L’ambizione a fare tanto è chiara ad una grande fetta del pubblico, forse un po’ meno ai più giovani, perchè
non si può comprendere pienamente quanto Bob Dylan sia stato importante per l’America tra il 1961 e il 1967 se non si era lì, in carne ed ossa, in quegli anni
per dirlo con le parole testuali di Sidran.
C’è quest’uomo venuto fuori da chissà dove, che inizia a parlare di cose magiche, ultraterrene; e che spinge con il suo esempio, un mucchio di persone alla stessa cosa. Si può dire che quest’uomo debba ritenersi personalmente responsabile del fatto che a causa sua, centinaia di persone abbiano iniziato a scrivere canzoni.
In quegli anni io ero un fanatico del jazz ma accanto a Kind Of Blue e A Love Supreme ascoltavo anche ogni album che Dylan faceva; sicchè, quanche anno fa, ho iniziato a suonare qualcuna delle sue canzoni dal vivo, per la prima volta. E ho trovato che non solo erano divertenti da cantare, ma anche le persone amavano sentirne i testi “vestiti” di nuovo.
Eppure, all’interno delle regole di questo gioco, esiste anche una “maledizione” dalla quale è impossibile probabilmente liberarsi. Dylan spesso non era contento dei suoi rapporti con la Columbia Records, così fornì all’industria discografica il suo castigo: Los Angeles fu travolta da una serie di reazioni poco felici per chi produceva musica all’epoca. Dopo il primo ascolto di Like a rolling stone, Frank Zappa voleva abbandonare la musica.
Patty Smith, suonando quella canzone dal vivo per la prima volta durante un concerto, qualche anno dopo,a metà pezzo si mise a piangere perché non riusciva a cantarla. Dylan stesso si aprì a commentare che prima della sua canzone, nessuno ne aveva mai scritto davvero. «Elvis liberò i nostri corpi» dichiarò un quarto di secolo dopo Bruce Springsteen, ma Dylan ha fatto di meglio realizzando qualcosa che «liberava finalmente le nostre menti».
A Londra, mentre contemplavano il premio “Ivor Novello” appena vinto per Cant’ buy Me Love, John Lennon e Mc Cartney ascoltarono attentamente l’ondata americana di rivoluzione, elevando il loro livello creativo con una successiva Rubber Soul per sfuggire all’isterismo del Nuovo Continente.
Insomma, furono anni di fermento e scombussolamenti, ma il risultato è riassunto in quel ritratto fatto con cartoncino nero e ritagliato di profilo, incollato su fasci di colore in stile pop-art di Glaser, il cui simbolo, al pari di I love NY, è universalmente legato ad un periodo musicalmente considerato Mito e forse, romanticamente, intoccabile. Come si potrebbe pensare di proporre una soluzione musicalmente diversa ai testi di Dylan dati questi presupposti? Mentre sta concludendo la stesura de Gli ebrei, la musica e il sogno americano, Ben Sidran ci regala, con Microcosmo Dischi in esclusiva italiana, un album speciale dedicato alla storia di Bob Dylan, che con il suo personalissimo taglio in chiave jazz, prova a suggerirci una risposta.
Dylan Different è un’esclusiva italiana per MicrocosmoDischi distribuito da IRD.
Ben Sidran – Vocals, Piano, Wulitizer, Hammond B3, Fender Rhodes
Alberto Malo – Drums and Percussion
Marcello Giuliani – Acoustic and Electric Bass
Rodolph Burger – Guitar, Vocal on “Blowin’ in the Wind”
Bob Malach – Tenor Saxophone, Flute, Bass Clarinet
Michael Leonhart – Trumpet, Flugelhorn
Amy Helm – Background Vocals
Georgie Fame – Vocal and Organ on “Rainy Day Woman #12 & 35”
Jorge Drexler – Vocal on “Knockin’ on Heaven’s Door”
Leonor Watling & Luca – Background Vocals on “Knockin’ on Heaven’s Door”
Leo Sidran – Horn Arrangements, Additional Guitar, Hammond B3, Piano, Koto
Tracce
1. Everything is broken
2. Highway 61 revisited
3. Tangled up in blue
4. Gonna serve somebody
5. Rainy day woman #12 & 35
6. Ballad of a thin man
7. Maggies farm
8. Knockin’ on heaven’s door
9. Subterranean homesick blues
10. On the road again
11. All I really want to do
12. Blowin’ in the wind
Articolo originariamente pubblicato su Jazzitalia
Sono anche su