
L’antefatto è quello di cui in Italia non si parla. Bloomber ha pubblicato di recente un grafico sulla crescita attuale della nostra economia, con questo commento di Tom Keene: “Sapevo che l’economia dell’Italia era in cattive acque, ma la verità potrebbe essere ancora più fosca”. Il grafico in questione mostra infatti l’incapacità del nostro sistema di crescere. La funzione mostra il prodotto interno lordo dell’Italia su base reale e su scala semi-log con una pendenza che viene definita “preoccupante”, in quanto dimostra che in quindici anni l’Italia non sia cresciuta e non stia crescendo tutt’ora. “L’estrapolazione del trend mostra un gap enorme tra cosa potrebbe e dovrebbe essere l’Italia, e dove è invece ora”, afferma Keene.
Contemporaneamente la voce di Matteo Renzi, perlomeno in Italia, mantiene toni diametralmente opposti: “L’oggettiva ripresa è partita in Italia grazie ai provvedimenti e le riforme. Nel 2015 abbiamo svoltato, nel 2016 acceleriamo” afferma il presidente del consiglio solo negli ultimi giorni.
Ma, nell’analisi mostrata da Bloomer, la chiave per comprendere questa estrazione dai fatti oggettivi risiede in quello che il grafico non illustra cioè la forza di inerzia del fallimento italiano, ovvero la situazione statica del paese.
L’Italia, insomma, è uscita o no dalla recessione? Cresce o non cresce? Una risposta intellettualmente onesta dovrebbe guardare al “flusso”, all’andamento dell’economia interna nel suo insieme relativa un certo periodo (in questo caso dal 2000 al 2015), e non solo allo “stock”, quindi al punto in cui ci troviamo ora, come invece fa la politica evitando di osservare le serie storiche e concentrandosi esclusivamente su valori estemporanei. “Dovrei essere chiaro – conclude Kleene nell’articolo – Sapevo che la storia sulla crescita italiana era negativa. Uno sguardo al livello dell’economia dimostra che è ancora più fosca di quanto pensassi. Dunque, guardate a tutti i vostri grafici sui flussi. Ma per avere un quadro più attendibile, monitorate sempre voi stessi e considerate il livello di una serie temporale”: in questo spiegare la crescita reale al comune cittadino non è un dovere da poco perché appare chiaro come, ormai, l’Italia sia bloccata e incapace di andare da qualche parte.
In effetti basta guardare alle ultime affermazioni-promesse sulla Legge di Stabilità, sulle correzioni della partita iva o sulla manovra dei 27 miliardi per rilanciare il Sud: cosa c’è di serio in tutto quest’alzare il polverone intorno all’argomento della Crescita, se il convincimento del governo è che non servono misure eccezionali, ma “solo” un’implementazione di riforme generali e un impulso agli investimenti pubblici?
Nulla. È il solito caos mediatico attorno ad argomenti di vitale importanza che riguardano proprio l’uscita dalla recessione e lo sviluppo delle economie dei Paesi.
Guardiamo ai fatti da fuori: anche per il World Economic Forum, l’Italia nel 2015 appare come una maglia nera, tra i Paesi avanzati, per la crescita e lo sviluppo inclusivi, collezionando una serie di pesanti insufficienze nell’ “Inclusive Growth and Development Report“. Istruzione, occupazione e retribuzioni, capacità di fare impresa, intermediazione finanziaria, corruzione, servizi e infrastrutture di base, trasferimenti fiscali sono tutti punti deboli su cui l’Italia dovrebbe lavorare per favorire sia la crescita economica che l’uguaglianza sociale ma, soprattutto, corruzione alta, scarsa creazione di nuove imprese e scarsa etica della politica, conclude il report, fanno dell’Italia un paese non competitivo e incapace di fare business.
L’Italia, quindi, no, non sta crescendo e le manovre politiche non stanno andando verso la giusta direzione per permettere che avvenga il contrario.
La via d’uscita da questa situazione, ce lo continuano a suggerire tutti, resta ancora la stessa: la re-Azione del Paese deve passare necessariamente dalla capacità di guardare all’economia nel suo insieme, favorendo imprese e professioni italiane anche in confronto con quelle del sistema internazionale, poiché si tratta di agire sugli attori che trainano il sistema intero, e tutto ciò dovrebbe avvenire al netto dei tentativi della politica di sponsorizzare, con dati economici che descrivono male la realtà, leggi dai principi e dalla consistenza dubbie.
Sul web, quando un’affermazione viene fatta in maniera distorta, fasulla e ridicola alla luce della verità dei fatti, si etichetta come “troll”. La persona che interagisce cioè con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso si dice che “trolla”, cioè disturba la comunicazione fomentando gli animi, risultando quindi stupido o cattivo a seconda delle situazioni. Matteo Renzi, che in Rete ha cercato e coltiva la sua popolarità usando hashtag, immagini e battute per risultare un carismatico, dovrebbe conoscere bene la sottile differenza tra comunicare e trollare.
Un lavoro esemplare che qualche anno fa ironizzava sulle variabili che spiegano la Crescita di un Paese è quello del ricercatore finlandese in Economia Politica, Tatu Westling, che dimostrava la relazione inversa tra Pil e lunghezza del pene. Una lezione che, smascherando la validità scientifica dei metodi utilizzati per misurare la salute di un’economia, evidentemente dovrebbe finire sulla scrivania del premier: che il team di spin doctor pidieddini smetta di trollare e lavori, quindi, per lo meno nel tentativo di liberarci da quel modello della comunicazione trolling che il berlusconismo ha fatto passare come normale per la coscienza collettiva degli italiani.
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