
Parafrasando Massimo Ranieri, io faccio il blogger perché non so cantare. Sì, perché se fossi stato anche solo un minimo intonato probabilmente avrei compiuto un percorso diverso, fatto di note, invece che di parole. Ma sono stonato come una campana scheggiata, quindi ho ripiegato sulla scrittura, almeno non rischio di rompere qualche vetrina.
Ho iniziato a scrivere da adolescente, a 15-16 anni, come molti, ma la musica mi fa compagnia da molto più tempo, più o meno dalle elementari. Ricordo le audiocassette dei miei genitori, quelle che uscivano allegate alle riviste di costume, tipo Oggi o Gente. All’epoca ero un bambino molto buono (bei tempi), tranquillo, quindi passavo i pomeriggi ad ascoltare musica, soprattutto d’estate, seduto su una vecchia sedia sdraio.
In questo post ho intenzione di delineare un percorso di vita, indicando dieci brani che, in un modo o in un altro, hanno segnato i miei primi trent’anni di vita.
Musica e storytelling
Direi di iniziare dalla mia canzone preferita in assoluto, Eleanor Rigby dei Beatles.
So che non è uno dei brani più famosi dei Fab4, molti avrebbero indicato Let it Be o Yesterday, ma per me questa canzone ha un sapore speciale. Innanzitutto adoro le canzoni capaci di raccontare una storia, e questa ne è un esempio eccellente.
Niente parole d’amore, niente frasi scontate, ma il racconto di una donna, ignorata da tutti, sola, che raccoglie il riso dal sagrato di una chiesa dopo un matrimonio, un’immagine che, sono sincero, mi emoziona ogni volta che la ascolto.
All the lonely people
Where do they all come from?
All the lonely people
Where do they all belong?
La scoperta di Slow Hand
Nel 1999 andai al cinema a vedere Se scappi ti sposo, commediola romantica con Julia Roberts e Richard Gere. Per carità, niente di eccezionale, ma nei titoli di coda c’era il videoclip di una canzone che mi fece scoprire uno degli artisti che amo di più: Eric Clapton.
La canzone era Blue Eyes Blue, una ballata molto bella, ma non certo uno dei brani più famosi di Slow Hand, però mi spinse a mettere da parte i soldi (mille lire alla volta) per acquistare il CD Clapton Chronicles – The Best of Eric Clapton. Fu amore a primo ascolto, che dura ancora oggi.
Tra le centinaia di canzoni stupende scritte da Clapton ce n’è una che prediligo, anche se poco conosciuta, non certo come Layla. Si tratta di Let it grow.
Perché ho scelta questa? Per il testo, in particolare per questi versi:
Time is getting shorter and there’s much for you to do.
Only ask and you will get what you are needing,
The rest is up to you.
Plant your love and let it grow.
La fase ribelle
Chissà perché, ma il mio amore per cinema e serie tv e quello per la musica si fondono spesso, condizionandosi a vicenda. Non è un caso, quindi, che anche Bob Dylan io l’abbia scoperto così, in tv, durante un episodio del telefilm Saranno Famosi.
Nella puntata “I ragazzi di domani” gli studenti vorrebbero organizzare uno spettacolo di beneficenza contro l’armamento nucleare ma non gli viene dato il permesso. Così avviano un sitting di protesta, al quale partecipa anche Joan Baez che canta Blowin’ in the wind di Bob Dylan.
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Non potrò mai dimenticare quella puntata, perché erano i primi anni del liceo, quando la mia anima ribelle e anti-sistema iniziò ad emergere, esprimendosi attraverso manifestazioni, scioperi e occupazioni.
Una canzone che ha lasciato il segno.
Assoli di chitarra, birra e buona compagnia
Ci sono adolescenti che identificano il divertimento con i videogame, i locali, le discoteche, per me invece il massimo era passare una serata con i miei amici più cari con una birra, una sigaretta e una chitarra, che ovviamente non suonavo io. La colonna sonora delle nostre serate era Sultans of Swing dei Dire Straits, nella versione live, quella, per intenderci, con i sei minuti di assolo di chitarra.
Il mio più caro amico dell’epoca riusciva a suonarla tutta, e ogni volta era un piacere. Le dita di Mark Knopfler meritano senz’altro un posto d’onore nella mia playlist.
Essere sereni a 17 anni
Non amo molto il giorno del mio compleanno, non per gli anni che passano e le rughe che conquistano la mia fronte e il contorno degli occhi, niente di tutto questo, semplicemente mi annoiano a morte le feste, soprattutto quando il festeggiato sono io.
Ciò nonostante ricordo perfettamente quando ho compiuto 17 anni, non per i regali o per la giornata in sé, ma per una canzone: Boom Boom di John Lee Hocker.
Molti non sanno nemmeno chi sia, ma è uno dei più grandi bluesman della storia, e quella è forse la sua canzone più nota, coverata da molti altri artisti, compreso Eric Clapton.
Ricordo che stavo facendo la doccia quando dallo stereo uscirono le note di questa canzone, e un’ondata di energia positiva mi travolse, regalandomi una serenità che difficilmente ho ritrovato negli anni a venire.
So che è una canzone contro la guerra, ma musicalmente mi ha sempre fatto questo effetto. Ogni volta che la ascolto mi sento più leggero, una sensazione bellissima.
Essere genitore
Visto che ho una canzone per ogni attimo della mia vita è evidente che ne ho anche sul mio essere padre di due figli meravigliosi.
Con il primogenito è sempre tutto più difficile, c’è l’ansia, l’insicurezza, l’inesperienza, e se a tutto questo aggiungi le colichette e le notti insonni avrai un quadro abbastanza preciso di cosa significa avere un figlio.
Con Nicolò è stato così, e per cercare di calmarlo gli dovevo fare ascoltare un po’ di musica dal cellulare. La sua canzone “preferita”, o sarebbe più corretto dire quella che funzionava di più, era Ninna Nanna dei Modena City Ramblers, una bellissima ballata che ogni genitore dovrebbe ascoltare almeno una volta nella vita.
Forse ti stai cullando al suono di un treno,
inseguendo il ragazzo gitano
con lo zaino sotto il violino
e se sei persa
in qualche fredda terra straniera
ti mando una ninnananna
per sentirti più vicina.
Con la piccola Luisa, invece, fortunatamente non c’è stato bisogno di ricorrere al sostegno della musica per riuscire a farla addormentare, però c’è una canzone che amo e che ogni volta che la ascolto mi fa pensare a quando sarà grande e vorrà (spero) confidarsi con me.
Un grande classico, I’ll stand by you dei Pretenders.
And when…
When the night falls on you, baby
You’re feeling all alone
You won’t be on your own
I’ll stand by you
I’ll stand by you
Won’t let nobody hurt you
Scrittura, noir e jazz
Non sono un esperto, ma adoro ascoltare del buon jazz, al punto da aver costruito una sceneggiatura noir tutta incentrata sulle atmosfere fumose dei locali che abbiamo imparato a conoscere grazie al cinema americano.
Purtroppo la sceneggiatura non ho mai finito di scriverla, ma a farmi compagnia all’epoca c’era una canzone in particolare, How Deep is the Ocean, nella versione cantata da Etta James.
Un capolavoro di eleganza, raffinatezza e sensualità.
Scoperte che lasciano il segno
Hai presente quando ascolti un brano per caso, magari con la modalità shuffle di Spotify, e te ne innamori? A me è capitato di recente con un brano famoso ma che non conoscevo.
Si tratta di L’illogica allegria di Giorgio Gaber, una canzone magnifica, con un testo che andrebbe mandato a memoria.
È come un’illogica allegria
di cui non so il motivo
non so che cosa sia.
È come se improvvisamente
mi fossi preso il diritto
di vivere il presente
Musica e scrittura
In chiusura ho deciso di lasciare una canzone recente di un artista italiano che adoro, Caparezza. La canzone è China Town, e credo che potrebbe diventare una sorta di inno per tutti quelli che amano la scrittura, a prescindere dagli obiettivi.
Se anche tu ti emozioni ogni volta che la pagina bianca si riempie di parole, questa è la canzone che fa per te.
Non è la fede che ha cambiato la mia vita, ma l’inchiostro
che guida le mie dita, la mia mano, il polso.
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